A volte assistiamo a una serie di “coincidenze” che sembrano comunicarci un messaggio. Ecco, penso che in questi ultimi mesi un “messo tecnologico” abbia bussato alla mia porta – forse anche perché essendo madre di due maschi non ho scampo – per istruirmi sui lati positivi ed educativi legati al mondo tecnologico dei videogiochi e della programmazione informatica.
Tutto è iniziato qualche mese fa, quando ho portato i miei figli a un laboratorio organizzato dal Museo della Scienza e della Tecnologia, in occasione del quale ci hanno messo in mano delle “api robotiche”. Nel giro di un’ora hanno insegnato ai miei figli a programmarle e quindi a “comandarle” grazie alla ripetizione di una serie di numeri in sequenza. Il mio stupore è stato pari al loro nel vederle danzare, all’unisono, a ritmo di musica. Alla fine di questa esperienza ho capito quanto fosse educativo, oltre che oggettivamente curioso, mostrare il processo di ideazione e costruzione che si cela dietro e dentro la “tecnologia”.
Questo stesso principio di scoperta l’ho ritrovato alla presentazione di un nuovo gioco, Nintendo Labo, che unisce alcuni fogli di cartone pre-tagliati a una Switch Nintendo (ossia una console). Si tratta di 2 kit da montare manualmente genitori e bambini assieme: il primo comprende un pianoforte, una casa in miniatura, una macchinina, una canna da pesca e una motocicletta, l’altro è invece il kit-robot. Entrambi i kit, dopo il montaggio, vengono chiamati “Toy-con”.
Fortunatamente le istruzioni interattive per assemblare ogni pezzo sono chiarissime e le si può seguire direttamente sul video della console. La fase successiva di questo processo creativo consiste nel dare libero sfogo alla propria creatività personalizzando questi supporti di cartone in diversi modi: colorandoli, attaccandoci stickers o altri materiali, etc.
Dopo avere giocato per un paio d’ore con mio figlio con questi Toy-con, ho pensato che l‘innovatività di questo gioco rispetto a un tradizionale videogioco consista essenzialmente in tre cose:
Per assemblare i pezzi di cartone a incastro è necessario l’aiuto dell’adulto: ad esempio, per costruire il kit-robot si possono impiegare anche 4 ore di lavoro, perché non solo ci sono i cartoni da piegare e incastrare, ma anche un articolato sistema di corde e leve da mettere “in funzione”. Niente panico: gli altri due kit richiedono un tempo di realizzazione decisamente inferiore. Avere l’occasione di costruire manualmente qualcosa insieme ai nostri figli non può che rafforzare la relazione.
La possibilità di partecipare attivamente a ciò che interessa ai figli, secondo me, offre al genitore una posizione di vantaggio relazionale. A volte, infatti, si pensa che vietare ciò che non ci piace – come ad esempio un video gioco – sia la soluzione migliore. Ma è veramente così? Oppure è negoziando che possiamo portare più vantaggi a entrambe le parti? Pensiamoci: i videogiochi sono qui per rimanere, e prima o poi i nostri figli ne saranno attratti. Perché lasciarli soli nell’esplorazione di questi territori che possono essere anche molto insidiosi se affrontati senza spirito critico?
E’ solo se condividiamo al loro fianco l’esperienza di gioco che possiamo poi utilizzarla come pretesto per aprire un dialogo e confronto che andrà ad aumentare la nostra comunicazione con loro, invece che portare a un isolamento bambino-videogioco. Oltre a questa condivisione, ovviamente, è necessario anche impostare delle regole di utilizzo di questi dispositivi: in fin dei conti la dipendenza da schermo resta pur sempre una questione di regole e limiti che noi genitori permettiamo all’interno del contesto famigliare.
In questo gioco la parte creativa, ingegnosa e videoludica si uniscono: ogni bambino infatti, seguendo le istruzioni in video, è invitato a piegare il cartone già tratteggiato nei punti giusti al fine di assemblare i vari pezzi per dar vita al proprio “Toy-con”. Aggiungendo inserti di cartone extra, inoltre, si può modificare il proprio Toy-con e fargli assumere la forma di un elefante, un insetto, una ruspa, una macchinina e molto altro ancora…
Ma il gioco non finisce qui perché i vari kit possono anche interagire tra loro: ad esempio, il pianoforte può scannerizzare la sagoma di un pesce e farla quindi “vivere” nell’acquario utilizzato nel gioco della canna da pesca.
La parte forse più affascinante è stata scoprire cosa si nascondeva dietro e dentro a questo sofisticato sistema. Le diverse manopole e pulsanti che troviamo sul Toy-con pianoforte o sul Toy-con casa, ad esempio, sono dotate di videocamere a infrarossi capaci di “leggere” uno speciale nastro adesivo attaccato ai diversi componenti.
Mi sono avvicinata a questo gioco con l’immagine in testa del ragazzino inglobato al divano, praticamente immobile, con gli occhi incollati allo schermo del video gioco: nulla di più fuorviante.
Infatti, Nintendo Labo ci invita a usare il nostro corpo in modo reattivo e concreto affinché il gioco possa proseguire: se non schiaccio il dito sul tasto il pianoforte non suona, se non alzo il piede il robot a cui sono “collegato” resta immobile, se non riavvolgo rapidamente la canna da pesca perdo il pesce che aveva abboccato.
Chi mi conosce lo sa: non sono certo una patita di videogiochi e anzi questo mondo è lontano dai libri e favole che amo leggere ai miei bambini prima di addormentarsi.
Però, credo anche che le mamme e i papà più scettici debbano iniziare a porsi delle domande su queste tecnologie che stanno avanzando in maniera sempre più importante, anche e soprattutto nelle vite dei più piccoli. E forse non tutto questo progresso è sempre necessariamente negativo. Una cosa che mi ha colpito, ad esempio, è stato che mio figlio dopo avere vissuto l’esperienza del pianoforte di cartone integrato alla console video, ha rivisto con occhi diversi il pianoforte “reale” che era a casa della nonna.
Ha passato un pomeriggio cercando (invano) di riprodurre tutti i virtuosismi e le melodie che la tecnologia gli aveva permesso di eseguire in modo molto semplice e intuitivo: insomma, piccoli pianisti crescono, al passo con i tempi…
*in collaborazione con Nintendo*