La prima volta che ho capito che la terra è solo un puntino nell’universo, ero insieme a mio padre sotto un cielo tempestato di stelle. Parlavamo di alieni e della possibile esistenza di altre forme di vita, all’infuori del nostro pianeta. Avrò avuto 6 anni e nella mia memoria c’è ancora il ricordo, come fosse ieri, di queste sue parole: “non credere che gli alieni siano mostruosi, sono soltanto diversi, anzi, magari assomigliano a delle bellissime forme di cono affusolate e un giorno riusciremo a comunicare con loro”.
Da allora sono passati più di 3o anni e il film “Tito e gli alieni”, al cinema da domani, mi ha riportato con la memoria a quella notte stellata. In particolare per l’importanza che, nel film, viene data alla dimensione del ricordo legata alle persone che non ci sono più, come mio padre.
Il film potrebbe essere classificato, per il tema trattato, al genere della fantascienza, ma è anche altro. Gli “alieni” del titolo forse sono solo un pretesto per inviare un messaggio universale di speranza e libertà. La storia che si dipana unisce magistralmente il linguaggio poetico del racconto a quello più fantastico della scienza, cui fa da contraltare un delicato romanticismo venato, a tratti, di simpatica ironia.
Una fantascienza che ci permette di trascendere i confini della realtà per connetterci gli uni con gli altri, in uno spazio “altro”, dove passato, presente e futuro si fondono nel grande respiro dell’universo.
La trama si snoda attraverso la storia di una famiglia un po’ atipica capeggiata da uno zio scienziato – interpretato dal sempre bravo Valerio Mastandrea – che da circa sei anni vive isolato nel deserto del Nevada vicino all’Area 51. L’uomo, “schiacciato” dal ricordo ingombrante della moglie defunta, ha messo in stand by la propria esistenza affettiva e lavorativa, fino a quando l’arrivo inaspettato dei due nipoti, orfani di entrambi i genitori, lo “risveglierà” da questa apatia esistenziale.
Il film ci pone davanti ad alcune domande, forse un po’ intime, che toccano tutti coloro che si sono trovati ad affrontare la perdita di una persona cara: come ci si può reinventare davanti al dolore di una perdita importante? Quanto è forte il desiderio di riaverla tra noi, anche solo per un breve istante? In quale misura la dimensione del ricordo che la tiene viva nella memoria può essere paralizzante? Quanto invece può essere un motivo in più per guardare il mondo con curiosità e speranza?
Alle tante domande qui sollevate, ognuno troverà le sue personali risposte anche stimolato dalla narrazione di un film che è stato capace di commuovermi e rimettermi in contatto con i miei ricordi.
E’ un film che consiglio di vedere (anche insieme ai nostri figli) perché la potenza evocativa delle immagini, unita a una storia semplice e sospesa in una sorta di bolla ai confini tra spazio e tempo, ci invita a riflettere sull’importanza delle relazioni umane e famigliari. Sono loro, in fin dei conti, che ci tengono interconnessi, salvandoci dal vuoto della solitudine con uno sguardo, fiducioso, rivolto al futuro.
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