Quando ero piccola ricordo una pubblicità che mi piaceva moltissimo: una bambina metteva nella lavatrice il suo pupazzo preferito e si sedeva davanti all’oblò ad aspettare che ne uscisse pulito e profumato. La scena finale mostrava la bambina felice che abbracciava il suo orsetto come nuovo.
La prima volta che mia mamma lavò il mio Snoopy in lavatrice, ahimè, gli disfò un orecchio irrimediabilmente.
La realtà non è come la pubblicità dove il lieto fine è assicurato. Infatti, per anni ho vietato a mia mamma di lavare i miei peluches.
L’anno scorso mi sono trovata nella sua stessa situazione: Billy, il coccodrillo preferito di Giacomo, dopo una rovinosa caduta in una pozzanghera di fango, doveva essere centrifugato. Nonostante fossi sicura della resistenza di Billy e avessi letto e riletto la sua etichetta di lavaggio, mi sono seduta anche io, insieme a Giacomo, davanti all’oblò trattenendo il respiro.
Per fortuna ne è uscito illeso.
L’altra sera, vedendo l’anteprima del film “Pupazzi alla riscossa”, io e Giacomo abbiamo potuto capire il punto di vista di un pupazzo cui tocca in sorte un lavaggio in lavatrice.
Protagonisti di questo cartone animato sono dei pupazzi prodotti per errore con alcuni difetti, e per questo motivo relegati a vivere a “Bruttopoli”. Per una serie di vicissitudini alcuni di loro si troveranno a confrontarsi con i pupazzi senza difetti che vivono all’Istituto di perfezione.
Per un pupazzo perfetto l’incubo peggiore è finire nella lavatrice.
Ogni lavaggio attenta alla tanto agognata perfezione, ecco perché ai pupazzi viene insegnato a non sporcarsi, a non insudiciarsi, quasi a non “vivere” pur di evitare la macchina mortale.
In un mondo dove è l’apparenza a contare, l’avere più che l’essere, la vita è una rincorsa a un’algida e sterile perfezione. Ma la felicità non è forse sentirsi amati per ciò che siamo veramente, con tutti i nostri difetti?
“Pupazzi alla riscossa” mette il focus su un tema importante e attuale: accettarsi per come siamo e, al tempo stesso, fare del nostro meglio per dimostrare agli scettici che sono proprio i nostri difetti a renderci unici e speciali.
E spesso chi ha l’umiltà di sentirsi ancora “perfettibile” reagisce al mondo con una spinta vitale e propulsiva ben diversa da chi – seduto tra gli allori di una presunta perfezione – si illude che la felicità non vada conquistata.
Se una perfezione esiste, va cercata dentro di noi, perché l’unico vero limite è pensare di averne.
I veri mostri da sconfiggere, pertanto, sono i pregiudizi di chi ha bisogno di affondare l’altro per stare a galla.
Questo film animato ci insegna che non è l’apparenza a contare, ma l’amore e la compassione. Ogni pupazzo – perfetto o difettoso – nella sua vita rincorre un solo sogno: essere adottato da un bambino e diventare per lui speciale.
Ma cosa significa essere speciale per qualcuno?
Se ripenso al mio Snoopy senza orecchio posso affermare che lo sia diventato perché quel suo difetto racchiude la sua storia, che si intreccia con la mia e con la lavatrice di mia madre.
Tutte le nostre cicatrici forse non saranno belle da vedersi, ma raccontano qualcosa in più di noi e ci danno anche l’opportunità di avvicinarci a quelle degli altri. Che magari poi scopriamo essere simili alle nostre.
E così si diventa speciali per qualcuno quando si accetta di far valere la forza della nostra fragilità.
Del resto, la luce penetra dalla crepa nel muro.