Mesi fa mi ero ripromessa di scrivere un articolo relativo alla pubblicazione di foto di minori sui social. Per chi come me è nel mondo del blogging e con le immagini ci lavora, infatti, è una domanda che è inevitabile porsi.
Recentemente, una mamma è stata multata dal giudice per aver pubblicato online le foto del figlio sedicenne senza il suo consenso, e così è tornato in auge il confronto tra mamme che pubblicano foto dei figli e non.
Ho letto a riguardo le dichiarazioni di mamme blogger famose come @Machedavvero (che per scelta non pubblica nessuna foto in cui il volto di sua figlia Viola sia riconoscibile), oppure l’opinione di Elena @Theyummy Mom che invece, con i dovuti accorgimenti, pubblica le foto dei figli. Le loro riflessioni, se pure differenti tra loro, sono decisamente pertinenti e mi hanno finalmente incoraggiato a raccontare la mia esperienza.
Quando ho iniziato a tenere questo blog pubblicavo senza troppi pensieri le foto dei miei figli, ma recentemente ho deciso di cambiare “rotta”. Sto cercando, infatti, di trovare un modo alternativo di parlare attraverso le immagini, in modo che si mantenga la presenza dei miei figli nella foto senza renderli troppo riconoscibili.
Un esempio è quello di fotografarli dall’alto, oppure inquadrarli di profilo, di tre quarti, di schiena, o sfumando un po’ il volto. Grazie a queste sperimentazioni, mi sono accorta che ci possono essere molti modi creativi di scattare foto artistiche, rinunciando ai loro volti e riducendo di gran lunga la loro sovraesposizione mediatica. Ovviamente non sempre mi riesce, e la ricerca di uno stile comunicativo nel quale mi riconosca al 100% è ancora in corso.
Il dibattito oggi è incentrato sul timore della pedopornografia virale, della privacy violata, di possibili fotomontaggi, e via dicendo. Benché tutte queste siano problematiche nascenti e degne di attenzione, non è questo a preoccuparmi principalmente, soprattutto dopo avere letto alcuni scritti di Giuseppe Riva, ordinario di Psicologia della comunicazione All’Università Cattolica di Milano. Secondo il Professore, infatti, le mamme che postano le foto dei figli sui social creano una identità digitale che li precederà e che non sarà in alcun modo cancellabile dalla rete.
Si tratta quindi di una identità filtrata dal nostro unico punto di vista (inevitabilmente viziato), che a loro potrebbe anche non piacere: una eredità che non hanno in alcun modo scelto, ma con la quale per forza di cose dovranno confrontarsi. Questo, per un adolescente, potrebbe rappresentare un fardello di non poco conto, considerata la primaria importanza del tema identitario in questa fase della crescita.
Per quanto possiamo essere state brave e attente a non metterli in imbarazzo con foto inopportune o racconti sgradevoli, ci potrebbe sempre essere qualcuno interessato a ricostruire un puzzle su chi è nostro figlio, cosa ha fatto, dove e come ha vissuto.
Da questo punto di vista, il futuro datore di lavoro di mio figlio, l’aspirante fidanzata o compagni di scuola sarebbero forse interessati a fare ricerche e scavare nel suo passato.
Insomma, condividere oggi troppe informazioni sui nostri figli è come disseminare le loro tracce nella “infosfera” che potrebbero tornare, in un futuro neppure troppo lontano, come un boomerang.
D’altra parte, vedendo come si stanno mettendo le cose, il mio pronostico sul domani è che non saranno certo pochi i futuri adolescenti che si scopriranno con folti archivi fotografici del loro passato alla mercé di potenziali interessati.
E’ questo un buon motivo per dire “ma allora di cosa ci stiamo preoccupando se tutti saranno nella stessa situazione?”.
Ecco, io di risposte non ne ho, ma su queste e altre domande sto riflettendo in questi giorni.