Ci sono libri che ti cambiano la vita, libri che ti aprono il cuore e la mente e libri ben scritti ma che non ti lasciano niente. Poi ci sono libri come “la felicità non sta mai ferma”, che non nascono con chissà quali pretese letterarie, ma che emozionano e fanno riflettere. Motivo per cui vale la pena leggerli.
Tra le righe di quell’inchiostro, infatti, si leggono lacrime di gioia, tristezza, speranza, felicità, frustrazione e una sola urgenza: raccontare una realtà dolorosa da accettare, ma con la quale si può imparare a convivere serenamente.
La storia di Chiara, mamma di Leonardo, al quale è stata diagnosticata una forma non grave di ADHD, è bene introdotta dalle prime righe del libro: “Avevamo preparato tutto, insomma. Ma non eravamo preparati a Leo“.
Forse nessuno è mai pronto a diventare genitore perché è un mestiere che si impara solo sul campo, collezionando una marea di errori. Tuttavia l’umiltà di ammetterlo a se stessi, come dimostra Chiara, è il primo passo per migliorarsi. Chi invece non si mette in gioco uscendo dalla propria zona di confort, che piaccia o meno resterà fermo dove è.
A furia di sbagliare, coltivare il dubbio, dare ascolto al proprio istinto di madre, ma al tempo stesso avendo fiducia nella competenza e professionalità di esperti e psicologi, Chiara ha trovato il modo di legittimare il proprio ruolo genitoriale.
Certo non è stato un percorso in discesa, perché il pregiudizio di chi si permette di sentenziare e condannare senza possibilità di replica un comportamento apparentemente inopportuno è sempre in agguato.
La lotta che si è trovata a combattere Chiara, a questo proposito, non è solo quella di una donna che ha stravolto la propria vita per stare al fianco di un figlio che fatica a inserirsi nei diversi contesti come dovrebbe, ma anche quella – tutt’altro che semplice – di una mamma condannata a priori d’essere la causa dell’inadeguatezza sociale del bambino.
C’è da dire che la storia di Chiara non giustifica gli atteggiamenti scorretti o inopportuni di Leonardo, anzi, leggendo il testo si capisce quanto la sua attenzione a non ledere la libertà altrui sia sempre stata al primo posto:
Il nostro cuore era diviso, tirato e stiracchiato tra la felicità di vedere nostro figlio crescere, la stanchezza di una vita sempre all’erta e l’ansia di dover sempre prevenire o rimediare a qualche disastro […] Quindi, che cosa facevo? Non mi rilassavo mai, ero sempre all’erta (cosa che succede in parte ancora oggi): cercavo di prevenire i pericoli, immaginare le cose prima che accadessero, individuare i potenziali danni prima che si verificassero.
Questo libro racconta la storia di Chiara filtrandola attraverso più punti di vista: quello del protagonista, Leonardo, di sua mamma e anche quello delle madri i cui figli devono relazionarsi con un bambino spesso incapace di gestire le proprie emozioni forti e contrastanti.
Dato che Chiara ha imparato sulla propria pelle (e quella di Leo) quanto possa bruciare un giudizio affrettato e senza possibilità di assoluzione, il racconto mi è sembrato onesto, pensato e privo di giudizi facili o superficiali.
Credo che la finalità di questo libro sia aiutare, infondendo speranza e coraggio, tutte quelle famiglie che si trovino ad affrontare un iter simile a quello di Chiara, ma al tempo stesso è anche un invito a osservare il mondo attraverso la lente di ingrandimento dell’empatia, della tolleranza e della comprensione.
Perché c’è chi, come Chiara, cerca di fare ogni giorno del proprio meglio per aiutare un figlio a trovare il proprio posto in un mondo in cui ha diritto d’essere felice e accettato.
Post in collaborazione con UTET
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