Da quando sono mamma mi sono messa spesso in discussione. Non che sia propria una mia attitudine, ma i miei figli rappresentano uno stimolo quotidiano a uscire dalla mia zona di comfort. I bambini ci mettono spesso a dura prova e, talvolta, con loro mi sembra più che calzante la frase “se fai ciò che hai sempre fatto, otterrai quello che hai sempre ottenuto”.
E allora, se troppo spesso l’esasperazione è alle porte, significa che è arrivato il momento di cambiare “rotta”, o quanto meno porsi delle domande su ciò che potrebbe funzionare meglio. Del resto, un margine di miglioramento c’è sempre in ogni cosa.
Fortunatamente ci sono psicologi, pedagogisti e personaggi illuminati della storia psico-educativa, come ad esempio Maria Montessori, che hanno dedicato la loro vita al perseguimento di un obiettivo: crescere bambini felici e ben equipaggiati per affrontare il mondo. Ai loro libri e scritti faccio spesso riferimento nei miei momenti bui e spesso ne traggo nuova luce, stimoli e ispirazione.
Maria Montessori, ad esempio, ci ricorda che il periodo più importante della vita è il primo in assoluto: dalla nascita ai 6 anni.
In questi primi anni, infatti, si rafforza la sicurezza in noi stessi e nel mondo che ci circonda, si sviluppa il linguaggio e le capacità relazionali, cognitive ed emotive.
Come l’albero ha bisogno di spazio per crescere, il bambino ha bisogno della fiducia dei genitori e di libertà per evitare che le sue personali attitudini e la sua innata curiosità esplorativa vengano soffocati dall’insicurezza (nostra) e dalla mancanza di spazio.
Quando ero incinta mi ero imbattuta in un documentario che mostrava i differenti stili educativi passando dal mondo occidentale ad alcune tribù africane. Ero rimasta colpita da due bambini di poco più di un anno che giocavano, nudi, sopra a dei bidoni arrugginiti. Quel documentario (qui potete trovarlo, non preoccupatevi per la versione in inglese perchè tanto non ha dialoghi) ha fatto sicuramente “breccia” nel cuore di una mamma un po’ ansiosa e ipocondriaca come me che, nei primi anni di vita del mio primogenito, era pronta a “sterilizzarsi” anche le tette prima di allattare, pur di evitare germi indesiderati.
Tuttavia, a esclusione di quei paesi poveri dove i bambini soffrono e muoiono per mancanza di cure e igiene (non era il caso del documentario), ci sono molti altri luoghi nel mondo popolati da civiltà in cui i bambini crescono sani e felici, nonostante non vengano rispettate le nostre stesse rigide norme igieniche e gli stili educativi siano diversi. Alle volte basterebbe del buon senso e il ricordarsi che, in realtà, allevare un figlio è molto più “semplice” e istintivo di quanto si creda.
Un’altra differenza eclatante che emergeva da questo documentario tra il modello educativo occidentale e quello di altri popoli stava nel diverso, anzi opposto, modo di intendere la libertà di autonomia, che trova la sua massima espressione nel permettere al bambino di fare da solo, senza che l’adulto si sostituisca a lui alla prima difficoltà.
A molti genitori potrà sembrare discutibile, ma sono sempre più d’accordo con quanto afferma il neuropischiatra infantile Alvaro Bilbao nel suo libro “Il cervello dei bambini spiegato ai genitori” : è molto più probabile che il bambino faccia quanto gli chiediamo se gli lasciamo un certo margine di libertà, invece di ordinargli semplicemente di fare le cose”. A chiunque piace poter scegliere e ci arrabbiamo quando ci sentiamo costretti. Per i bambini, in fondo, è lo stesso: collaborano più volentieri quando li lasciamo liberi. Lasciandoli liberi di fare e sbagliare li aiutiamo a sentirsi rispettati e valorizzati da una parte, dall’altra ci guadagniamo la loro fiducia e quindi saranno più collaborativi quando è per noi necessario.
L’ultima volta che mi sono messa in discussione interrogandomi su quale sia il nostro ruolo di genitori e quanto sia il margine di libertà e autonomia che dovrei concedere ai miei figli, è stato in occasione di una chiacchierata con un noto psicoterapeuta, Giulio Cesare Giacobbe, autore di numerosi libri best seller, nonché ideatore della “psicologia evolutiva”.
Alla mia domanda “quali precauzioni può adottare un genitore che si riconosca iper protettivo?”, lui mi ha risposto che “il nostro compito di genitori non è risolvere i problemi ai figli, ma metterli il più presto possibile nella condizione di risolverseli da soli. E anzi, crearglieli i problemi. Esattamente come fanno gli animali con i cuccioli che creano loro le simulazioni di caccia per abituarli a cacciare e procurarsi il cibo e sopravvivere. Quindi, il genitore iper protettivo non è un genitore, ma un bambino mascherato da genitore.“
Sono rimasta colpita dalla sua affermazione e in particolare dall’invito a “creare” problemi ai nostri figli, piuttosto che risolverglieli, per equipaggiarli meglio al mondo che li aspetta. Tuttavia, la necessità di prepararli al mondo non è nemmeno la motivazione più importante. Anzi, il punto forse è anche un altro: spesso ci dimentichiamo che apprendimento significa anche autonomia, la quale serve a far crescere la fiducia in se stessi. Per crescere e imparare è necessario fare, e riuscire a fare da soli è alla base dell’autostima.