Nel mondo d’oggi i bambini sono abituati ad avere tutto e subito, senza consapevolezza del lungo processo che sta dietro a ciò che utilizzano quotidianamente. Questa scarsa conoscenza della fatica e dell’impegno altrui, talvolta impedisce loro di dare il giusto valore alle cose e come genitori abbiamo il dovere di mostrare gradualmente il dietro alle quinte di quanto li circonda.
Sono contenta di crescere i miei figli in una città ricca di stimoli culturali come Milano, però talvolta ho l’impressione che, sommersi da così tante novità e attrazioni, perdano di vista alcune dinamiche che invece sarebbe bene conoscere. Ad esempio la consapevolezza della provenienza degli alimenti che consumano: si trovano le carote nel piatto, ma non sanno e non si interrogano sul processo che le ha condotte a trovarsi li davanti a loro. Poi magari ne vedono una un po’ sporca di terra, e si meravigliano di vederla “sporca”, come se quella fosse una condizione “innaturale”.
Dobbiamo dare ai nostri figli la possibilità di conoscere i processi che danno origine a quello che trovano pronto e confezionato in tavola. Fare intendere loro che per raggiungere un determinato risultato (il barattolo di Yogurt nel frigo) è necessaria una connessione tra molteplici elementi e un coinvolgimento di parecchie persone/animali/situazioni/fattori ambientali.
Sono stata contenta di poter sfruttare un’occasione lavorativa per portare Giacomo con me e fargli scoprire dove nasce la Certosa, alimento spesso presente sulla nostra tavola e che di tanto in tanto usiamo anche per fare qualche rapida ricetta.
E così, un paio di settimane fa siamo saliti a bordo di un pullman per visitare lo stabilimento Galbani di Casale Cremasco.
Appena arrivati ci è stata offerta una colazione a base di biscotti fatti in casa a forma di cuore. Sono stati molto apprezzati da mio figlio, che ha pensato bene di portarmene un numero non quantificabile come atto dimostrativo del suo affetto.
Poi Giacomo ha vissuto un’esperienza che lo ha molto divertito: mungere la mucca mascotte dello stabilimento. In questo modo ha comunque avuto il suo primo incontro (molto) ravvicinato con quello che è l’ingrediente più importante del formaggio Galbani: il latte, 100% italiano proveniente da allevamenti del Piemonte e della Lombardia.
Dopo aver convinto mio figlio a lasciar giocare con la mascotte anche agli altri bambini presenti, ci siamo accomodati in sala dove è stata raccontata a Giacomo l’importanza del legame tra l’azienda e il territorio, dato che lo stretto legame con gli allevatori garantisce una maggiore qualità e genuinità del prodotto finale.
Un concetto che ha accompagnato me e Giacomo in questa gita, e che rappresenta un mattone importante di quella complessità di cui parlavo prima e che spesso viene ignorata dai bambini, è quello del processo di verifica, certificazione e controllo delle procedure, nel rispetto degli standard necessari a garantire un prodotto di qualità.
Non so quanto Giacomo abbia compreso dei molti e complessi controlli che vengono fatti, ma di certo questa esperienza lo ha aiutato ad acquisire maggiore consapevolezza sulla provenienza di quello che mettiamo sulle nostre tavole.
Soprattutto lo ha sorpreso partecipare a un laboratorio molto particolare nel corso del quale ha vestito i panni del mastro casaro. E’ stata un’esperienza decisamente istruttiva perché certe cose se non le vedi con i tuoi occhi non ti rendi conto di quanti siano i dettagli che fanno la differenza e soprattutto le cose importanti a cui prestare attenzione. Ad esempio, che unendo tra loro degli ingredienti apparentemente senza legame (latte, sale, enzimi coagulanti del latte, fermenti lattici vivi) e portandoli incontro a un determinato trattamento di oltre 7 giorni, si ottenga la Certosa.
La fase finale della produzione della crescenza è stata anche quella più suggestiva, perché abbiamo visto innumerevoli e perfetti panetti di morbida Certosa viaggiare sui tapis roulant per finire a essere confezionati nella classica vaschetta, pronti per essere inviati al supermercato, ovvero il luogo nel quale di norma eravamo abituati a trovarla pronta all’uso.
Quando siamo tornati a casa mio figlio, ancora entusiasta per la giornata trascorsa insieme, mi ha detto: “mamma, stasera cucino io! ormai la Certosa la so fare da solo!”.