Da piccola mi ero iscritta a danza solo perché desideravo indossare il tutù e le scarpette da punta rosa.
Tuttavia, alla seconda lezione di prova, i miei sogni di gloria “in rosa” si sgretolarono quando mi dissero che per indossare il tutù avrei dovuto aspettare la fine dell’anno…
All’improvviso la luce al neon della palestra mi fu ostile, le pareti verdine mi ricordarono quelle di un ospedale, e pensai che avrei preferito stare ai giardinetti o a casa, anziché chiusa lì dentro a fare esercizi a una sbarra. Dissi a mia madre che avevo cambiato idea, e che la danza non faceva per me.
Negli anni a venire mia madre cercò di iscrivermi a pallavolo, cavallo, ginnastica artistica, nuoto e in ultimo tentò pure il basket. Alla fine fui tenace, e riuscì a non iscrivermi mai a niente.
Nonostante non fossi impegnata settimanalmente come tutti i miei compagni in attività sportive extrascolastiche, non ricordo di aver impiegato quel tempo poi così male. Anzi, ricordo ancora e con piacere alcuni dei miei pomeriggi liberi da impegni, trascorsi magari a far nulla di ché, ma con la bella sensazione di non essere forzata a fare qualcosa che non mi andasse, e avere il tempo anche di annoiarmi.
Ammetto di essere stata un caso forse anomalo, ma ho recuperato negli anni, in altre circostanze (il teatro), almeno una parte di quello che uno sport può insegnare: dallo spirito di sentirsi parte di una squadra con la quale condividere la gioia di una vittoria, al saper accettare le sconfitte e i fallimenti.
Tralasciando la mia personale esperienza fallimentare con lo sport, ritengo ci siano ottimi e validi motivi per far frequentare ai bambini, se lo desiderano, una qualsiasi attività ludico-sportiva almeno una volta a settimana.
Tuttavia, negli ultimi anni, pedagogisti e psicologi hanno spesso rivendicato anche la necessità di lasciare ai bambini, le cui agende settimanali sono fitte di lezioni extra scolastiche e corsi intelligenti e formativi di ogni tipo, spazi totalmente liberi da impegni.
Ed ecco così che la “noia” da esperienza negativa viene rivalutata e nobilitata e, come sostiene Daniele Novara nel suo libro “L’essenziale per crescere” , diventa un’occasione per vivere una situazione nuova. La noia come esperienza di frustrazione permette di fare esperienze creative diverse”.
La noia permette ai nostri figli di ascoltarsi e inventarsi in modo autonomo una soluzione, un modo per “distrarsi” e impegnarsi in qualcosa che li diverta di più.
A volte, quindi, può anche essere salutare e stimolante non organizzare nulla di preciso e lasciare spazio al “caso”, mettendo in conto la temuta “noia”. Che poi così temuta non dovrebbe essere se solo ci ricordassimo del nobile valore che, ad esempio, il popolo latino attribuiva all’otium, dedicato alla riflessione, alla conoscenza di sé e del mondo.
“La maggior parte delle nuove tecnologie risponde alla necessità dell’uomo moderno di fuggire dalla noia. Non appena abbiamo un momento libero lo occupiamo distraendoci al cellulare, con l’ipad o navigando in rete. Si è perso così il valore della noia e soprattutto la capacita di starci dentro e conviverci in modo sereno” (Luca Mazzucchelli)
Ritagliarsi del tempo per ascoltare se stessi e quello che si ha voglia o non voglia di fare è un privilegio da non sottovalutare. Anche perché talvolta sarebbe meglio provare a lasciare realmente “libero” quel tempo anziché iper-organizzarlo.
Vorrei concludere con una frase a cui penso spesso e che il mio insegnante di teatro ci diceva sempre a lezione: “non abbiate paura dell’horror vacui, del vuoto, perchè anche il silenzio, per chi lo sa ascoltare, ha un suono bellissimo”.
L’essenziale per crescere di Daniele Novara e Silvia Calvi
credits photo Diana Feil; Austin Ban